Pittore, scultore e incisore, Hassan Vahedi è nato il 10 novembre 1947 a Teheran, dove si è diplomato in pittura e scultura alla locale Accademia di belle arti. Ha partecipato insieme a letterati ed artisti del suo Paese al gruppo "Talere Iran". Giunto in Italia alla fine del 1974, ha studiato pittura con Montanarini e Trotti e scultura con Fazzini e Greco all'Accademia di belle arti di Roma. Risiede e lavora a Roma con studio in via Sirte n.40.

Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia ed all'estero.

giovedì 24 marzo 2011

Recensione di Luciano Marziano, 2004


L'itinerario artistico di Hassan Vahedi, caratterizzato da ricerca e proposte di soluzioni formali, si svolge in un continuo movimento che si palesa come work in progress , come inesausta ansia che, negli anni Ottanta del secolo decorso, Riccardo Comandè, giovane amico e collega dell'artista, definiva di accanimento, quasi di voracità verso la pittura. Ne deriva l'elaborazione di opere che, pur esprimendo una molteplicità di immagini, di contenuti e di risultati formali, lasciano come una sorta di non finito che, poi, si rivela virtuale in quanto sostanzialmente funzionale al progetto complessivo dell'artista di acquisire ed introiettare, nel e con il suo lavoro, più porzioni di mondo possibili.
Alla luce di quanto sopra delineato, tutti i mezzi, le modulazioni, le strutture che costituiscono l'evento della visione assumono legittimazione che si concretizza attraverso un aggancio di ordine culturale. A tale proposito, non si può non rievocare la particolare condizione di Vahedi che, intriso della nativa e originaria cultura iraniana, questa ha connesso con le più avanzate tendenze della cultura dell'Occidente, dove l'artista ha completato la sua formazione per esservisi trasferito e avervi operato già da molti anni.
Sostenuto da lucidità intellettuale, da un'istanza, non dico di improbabile e indefinibile verità, ma dall'esigenza comprensibile di trovare un ubi consistam che implica anche venatura di disincanto e di salutare ironia, l'artista ha riletto, reinterpretato e recuperato substrati culturali, stilemi e tratti dalla sua originaria formazione mediorientale; dei quali coglie la necessità e la funzionalità riproponendoli nel contesto di un'opera che, di conseguenza, pur apparendo di sorprendente variabilità, contiene nuclei, linee di continuità per temi e motivi che, negli anni Settanta, si presentano sufficientemente delineati e coincidenti con l'arrivo di Hassan in Italia e, precisamente, a Roma. Un passaggio che consente all'artista una più lucida perspicuità del suo mondo, del suo retroterra culturale. In un quadro del 1977 che rappresenta una coppia, si coglie l'impostazione ieratica di chiara ascendenza persiana. La fascia nella parte inferiore rimanda a componenti decorative. Questi elementi si trovano nell'immagine di un'altra opera, rappresentante un sacerdote, dove l'aspetto ieratico si muta in riflessione sulla struttura del quadro che viene scomposto nelle sue parti cosicché ogni elemento, mentre concorre alla definizione dell'immagine, conserva la propria identità.
L'intento di esplicitare visivamente il proprio mondo è espresso da un pannello dove, in più riquadri, sono inscritte configurazioni che costituiscono la componente a valenza simbolica dell'artista. Esse riguardano il pittore, il gallo, la donna, il toro, il re. Al centro è enucleato il nudo femminile che, circoscritto da una cornice a sequenze romboidali, enuncia l'incidenza decorativa del quadro. Il legame con la cultura di provenienza è ancora reperibile nella selezione cromatica nella quale predominano le tonalità dell'azzurro e del verde e poi, ancora, la primarietà dei rossi, dei gialli. Altro elemento ricorrente è la simmetria, la stilizzazione che, di seguito, tendono a decampare in un flusso di segni e colori in una dimensione immaginativa dalle venature notturne, con una componente onirica come dilatazione del mondo, per cui le immagini, i gesti o, meglio, la gestualità, i comportamenti rientrano nell'ambito della metafora. Anche quelli che hanno riferimenti di riconoscibilità, come la scena del circo, dove, dietro un dettato arcaicizzante, affiora il grottesco, che si muta nel ghigno della violenza.
L'aspetto simbolico è sostenuto dalla componente pittorica, che assume connotazione originaria per la stesura del colore in una tessitura costruttiva nonché per l'incidenza della luce che esalta taluni incarnati in quadri degli anni Ottanta nei quali è accolta, oramai, la lezione della grande stagione dell'arte moderna europea. Così, la staticità, la cupezza dei colori si sciolgono in cantante luminosità. Il tema dell'uccello e, più precisamente, del pavone, costruito sull'aggregazione dei colori ognuno dei quali conserva la propria sostanza, ha valenza concettuale come gli azzurri non naturalisticamente impiegati per rappresentare soggetti e oggetti del quotidiano. I quadri si fanno più dinamici, le zone si dissolvono le une nelle altre in leggerezze figurali.
A metà degli anni Ottanta, la coscienza della primarietà del mezzo impiegato si precisa attraverso l'astrattizzazione del dettato. Il livello figurale è scarnificato, come radiografato nella sua essenza segnica. Affiora la memoria del paesaggio affidato a pochi colori che, a volte, sfiorano la monocromia e la leggerezza di visioni che sfumano nell'ineffabile biancore delle ore di transito quali quelle dell'alba o del tramonto. Il turbamento dell'attualità è ascrivibile ai baluginamenti del medium televisivo dal quale provengono sembianze mostruose.
Il mondo di Hassan Vahedi, percorso ora da sani furori, ora da spigolosi segnali, ora dal dispiegarsi rutilante di immagini, resta saldamente legato alla ragione compositiva. L'artista elabora, costruisce, descrive immagini sostenute dalla scansione ritmica dei piani in un dialogo costante che, pur in presenza della emotività connessa al tema trattato, enuncia la base strutturante sia visiva che cromatica. Così, le montagne sono eventi plastici e il taglio dell'orizzonte sul mare si rivela per quello che in effetti è, cioè misura ritmica di costruzione del quadro nel quale il primo piano della spiaggia rivela la natura di campo aperto alla tessitura pittorica e al tattilismo materico. Il minimalismo della macchia, organizzata nel reticolo compositivo, dà luogo a cantanti e lussuosi colori, alla gioiosa rappresentazione di splendidi e riservati giardini. Un'intenzionalità compositiva esplicitata dalla elaborazione di quadri basati sul semplice rapporto plastico dei piani, reso concreto dall'assemblaggio di fogli di cartone di vari colori, che inglobano il flusso spazio-temporale.
Attraversa l'opera di Hassan un'incoercibile pulsione esistenziale. Il pittore si pone in rapporto primario con il mezzo impiegato e, attraverso esso, espone il suo punto di vista sul mondo, che è allarmato, inquieto; il rapporto assume le connotazioni del mistero, dell'enigma, della violenza alle quali il pittore oppone il segno della speranza laddove, nel fluire di segni e colori di presenze fantastiche, ritagli un quadrato con all'interno significativamente inscritta una colomba non a caso immersa in una zona di luce.
Negli ultimi anni, le varie linee, i percorsi diversificati, le prospettive di ricerca del lavoro di Vahedi è come se avessero trovato dei nuclei di essenzialità, in una più lucida e convinta riflessione. Il livello esistenziale si trasferisce in un sempre più intenso rapporto con il lavoro pittorico. Le figure umane si articolano in linee spiraliche immerse in densa materia bruna; teste umane sono destrutturate e ricostruite con segni di matita colorata. Hassan opera cancellazioni e reinvenzioni su uno sfondo nel quale galleggiano frammenti, brani di pittura dal forte impatto emblematico. Pertanto, ogni quadro si pone come territorio riservato, come ambito rituale di quel settore del comunicare affidato alla specificità della pittura.

Luciano Marziano, maggio 2004

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